Insonnia

Abel uscì sbattendo la porta. Nessuno gli avrebbe creduto, né avrebbe mosso un dito per aiutarlo. Era di nuovo da solo. Tutta quella sala gremita di gente non era venuta per lui. Suo fratello Johan sicuramente non avrebbe perso l’occasione di farglielo notare. –Povero fratellino, così inutilmente vivo!–Glielo aveva sentito dire mentre parlava con i suoi amici, a mezza bocca, fumando di nascosto davanti al vecchio camion abbandonato. Tra poco Johan sarebbe andato all’università e quella che prima era una diffidenza reciproca, da lì a poco sarebbe diventata un vuoto incolmabile. Quel giorno Abel non disse una parola. Con la testa china sul piatto, sembrava più attratto dai movimenti del cibo che non dal trarne un qualche nutrimento. Ad un certo punto smise di punzecchiare i piselli che continuavano a rotolare giù sulla tovaglia e si alzò in piedi. La madre sembrò ignorare volutamente quel gesto inusuale e continuò a lanciare sguardi d’approvazione nei confronti di Johan mentre il padre gli parlava della sue esperienze da giovane promessa alla facoltà di giurisprudenza. Abel continuò a guardare in basso, rigido e cupo, sentiva ogni parte del suo corpo perdere di vitalità, sentiva la testa farsi sempre più vuota e confusa. Poi alla fine parlò, emise un suono tanto sordo e duro da sembrare sofferto. –Vi odio–disse tra i denti. Dopo di che andò in camera sua e si addormentò profondamente.

Quando si svegliò, Abel si rese conto di aver dormito molte ore. La casa era fredda e silenziosa. Il tempo, come le persone, sembravano risucchiate da un grosso buco nero al centro della sua testa. Scese in punta di piedi le scale facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Poteva sentire il suo respiro alternarsi al suono del pendolo della sala da pranzo. La luce del lampione della strada illuminava la sagoma dell’appendiabiti all’ingresso dando vita a sinistre ombre sul pavimento. –Deve essere molto tardi–disse mentre un brivido gli scivolò giù per la schiena. Vagò un altro po’ tra le poltrone ed il tavolo toccando i contorni arrotondati dei pomelli, poi si diresse in cucina. Tutto era in ordine: posate, stoviglie e le tazze della colazione. Sembrava che l’orribile pranzo di oggi non avesse lasciato alcuna traccia. –Devo aver sognato tutto–si disse. Poi si avvicinò al frigo per bere qualcosa. Un post-it giallo innaturale troneggiava sullo sportello del freezer.

“Non volevamo svegliarti. Siamo dalla zia Pam. Un bacio. Mamma”

All’improvviso tutto si fece alquanto nitido. L’improbabile compagnia doveva essersi spostata verso lidi più tranquilli per poi naufragare ingloriosamente a casa della zia Pamela. –Perché svegliarmi? Avrei di sicuro rovinato la bella atmosfera. Un perdente, in fondo è questo che tutti pensavano di me–

Salì di corsa le scale e si rifugiò nel bagno. Davanti allo specchio, con le lacrime che correvano lungo le guance, tirò rabbiosamente un pugno sul muro. –Sono un perdente, hanno ragione loro–

Poi adocchiò il rasoio sul lavandino di ceramica bianco, lo premette con forza sul braccio. –Non ci riesco. Non sono nemmeno capace ad uccidermi–Sussurrò. Lanciò il rasoio per terra accasciandosi sul pavimento. La sua morte, in fondo, poteva essere qualcosa di perfettamente trascurabile. Alla fine si distese di nuovo sul letto, immobile, con gli occhi aperti. Tra poco sarebbero tornati e tutto sarebbe tornato com’era. La scuola, la casa e il disprezzo. O forse no. Ora che suo fratello partiva per college non ci sarebbe stato più motivo di lottare. La battaglia era finita e lui ne era uscito indubbiamente sconfitto. Si sentiva come un comandante a cui massacrano l’intero reggimento e deve tornare in patria da solo. Cominciò a pensare a cosa sarebbe successo in futuro. Lo avrebbero lasciato in pace o lo avrebbero ignorato del tutto? Si sentì inerme. Se aveva imparato qualcosa dai suoi 17 anni era che tutto dipendeva solo da una assurda accozzaglia di circostanze.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *